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LE ORIGINI

DEL TOPONIMO

 

 

"Sulla roccia dove si aderge il maestoso maniero, dovette esistere un più antico castello diruto. Questo colla grandiosità delle sue rovine, per la storia che compendiava in sé, per la sublimità della roccia tagliata a picco, mercé lo splendido panorama che offriva, grazie alla sua posizione, tra le vie più importanti, che attraversavano il feudo Borgitello, attirò gli occhi di Manfredi e l’invogliò a risuscitare le morte membra dell’antica rocca. A tutto questo si aggiunga l’inclinazione caratteristica dei Chiaramonte di fabbricare castelli dovunque acquistassero domini».

Così mette nero su bianco il Calà nel suo manoscritto Ricerche storiche su Mussomeli, tesi condivisa dal Sorge, l’altro storico locale per eccellenza, tale asserzione all’inizio del secolo scorso, illumina di nuova luce le origini relativamente recenti della terra di Manfredi e in particolare la genesi del nome della cittadina: Mussomeli.

I due storici, prendono le distanze dalle pur autorevoli ricerche degli studiosi che li hanno preceduti e concordano sulle origini arabe o berbere del toponimo. E, sottolineando la mancanza di certezze in merito, teorizzano, su basi storiche e deduttive, che la denominazione Mussomeli potrebbe derivare da Menzil-al-Amir (stazione dell’Emiro), ovvero una postazione di cambio presente nel territorio durante la dominazione araba.

Il Sorge va oltre ed aggiunge: «Un’altra voce che probabilmente avrà potuto prender parte, presso gli Arabi alla formazione del nome di Mussomeli, assieme al prefisso menzil, sarebbe Malek. Malek è nome di persona, e fra tanti che ne ricorda la storia, basterebbe citare Malek-ibn-Anas, famoso tra i dottori principi dello islamismo».

Il Sorge identifica quindi il monte di Mussomeli con l’Abi-Malek, ovvero il monte di Malek citato dagli storici. E seguendo tale ragionamento giunge alla conclusione «Se di Malek prendeva nome il monte di Mussomeli, la stazione, il villaggio che ivi sorse, dovette

prendere lo stesso nome, e chiamarsi Menzil-Malek».

Infine formula una terza quanto arditaipotesi, ovvero che Mussomeli derivi da Menzil-Mariah (Casale di Maria).

Da uno di quei toponimi sarebbero derivate poi le varie storpiature sia nella lingua dei popolani sia nei documenti ufficiali trascritti col calamus, uno stilo ottenuto da canne cave, tagliate in modo da ottenere una punta da cui dipendeva lo spessore del tratto. Il taglio centrale veniva fatto per agevolare il deflusso dell’inchiostro. E va da sé che con tali rudimentali strumenti, da una trascrizione all’altra redatta in contesti diversi e luoghi lontani, la possibilità di errori era elevatissima da parte dei vari amanuensi.

Il documento più antico è un diploma del 4 aprile 1392 dato ad Alcamo da Re Martino a Guglielmo Raimondo Moncada, dove è scritto castrum Musumelis cum terra Manfrede (Amari). Musumeli si legge invece in una lettera datata febbraio 1397 con la quale si comandava al castellano di consegnare il castello a Guglielmo Raimondo Moncada (Regia Cancelleria). Ed ancora: Mosimelli (Villabianca), che riporta il ruolo dei fondi fatto eseguire nel 1408 da Re Martino), Musumerj in una nota spese del 1414 fatta per ordine della regina Bianca, Musmelis (Carafa), Mussumelis (Fazello ed altri), Musumellis (Pirri) Musulmelis (Arezio), Mussumelium (Maurolico) e Musumeris (Barberi).

E anche la poetica Mons Mellis.

Su quest’idilliaca immagine, Monte del miele, che per molti decenni accompagnò nell’ingenuo immaginario del popolino le origini del toponimo Mussomeli, cala però come un maglio la bocciatura del Calà sul romanzo di letteratura eroica ottocentesca di Vincenzo Linares Il masnadiero siciliano. In tale opera, a pagina 95 si legge questa descrizione: «Sotto la collina di San Vito è la citta, proprio dov’era l’antica Manfredi dai Chiaramonte innalzata. Nel mezzo della stessa vi ha una sorgente di acqua cristallina e dolce, vicino alla quale, siccome narra la tradizione, fu dai primi abitatori trovata una colonia di api dentro gli alveari di miele. Ecco da che trasse il

nome la moderna città».

Il Calà però contesta: «La tradizione delle api nel paese non esiste e solo il Linares, fra gli autori, mette avanti questa poetica invenziosa.

La dolcezza del clima, che, ipoteticamente si suppone occasione del nome, non è affatto tale, quale Linares se la presenta. Basti dire che il freddo a Mussomeli comincia a settembre e si prolunga sino ad aprile e spesso sino a maggio».

Dopo avere elencato i vari toponimi di Mussomeli susseguitisi nei secoli e di cui sopra abbiamo dato solo un accenno, il Calà quindi si domanda: «Tutte queste varietà ed incertezze in un nome, come abbiamo visto di origine popolare, o almeno passato nel patrimonio

della lingua del popolo non ci fa sospettare, e a buon diritto, che l’origine di esso non doveva, remotamente, appartenere al popolo,

che poi lo fece suo, storpiandolo alquanto?».

Le origini arabe di Mussomeli in effetti, da un punto di vista storico, sembrano più che plausibili.

 Libro fotografico di Roberto Mistretta su Mussomeli
locandina Libro fotografico di Roberto Mistretta su Mussomeli
Melo Minnella

 Vedi qui la presentazione

Il Maestro Melo Minnella

LA VOCE DELL'ISOLA PARLA DEL TITANO DI PIETRA

IL TITANO VISTO DA MILOCCA LIBERA

Il sindaco di Mussomeli, Giuseppe Catania, dona "Il titano di pietra" a Stefania Petix e a Pif

Stefania Petyx con libro di Roberto Mistretta
Pif con libro di Roberto Mistretta
Pif con Roberto Mistretta
Giornalita di Malta con libro di Roberto Mistretta

"Il titano di pietra" è arrivato anche a Malta, grazie all'allora Priore dell'arciconfraternita della madrice, Bruno Imperia, e all'ex priore Pippo Sorce. Ad essere omaggiato il fotografo maltese, Ken, che si trovava Mussomeli per fotografare i riti della Settimana Santa. 

Procuratore Zuccaro di Catania con libro di Roberto Mistretta
"Il  titano di pietra/Mussomeli e il suo castello" donato dal sindaco Giuseppe Catania al Procuratore Capo di Catania, Carmelo Zuccaro.  

ALCUNE DELLE TANTE FOTO DEL MAESTRO MELO MINNELLA

FEDERICO III E LA SUA CORTE AL CASTELLO

 

            Era  l’autunno del 1374 quando il castello di Mussomeli, parato a festa, ospitò Federico III,  re di Sicilia (1355-1377), detto il Semplice,  membro del ramo siciliano della casa d'Aragona, e  la sua regina Antonia del Balzo, figlia di Francesco duca di Andria e di Margherita d’Angiò Taranto, nipote, per parte di madre, della regina Giovanna I di Napoli. E proprio con la regina Giovanna, che aveva il suo bel da fare per mantenere l'indipendenza del suo regno, minacciata dagli Angioini di Napoli e dalla nobile famiglia dei Chiaramonte, nel 1372, re Federico III riuscì a firmare una pace che gli consentì di mantenere il controllo della Sicilia fino alla morte. Come si usava a quei tempi, la tregua fu sancita dal matrimonio con Antonia. Lo sposalizio tra Antonia e Federico III (rimasto vedovo nel 1363 di Costanza d’Aragona), avvenne il 26 novembre 1373 a Messina. Le nozze furono celebrate dal vescovo di Sarlat, Giovanni Rivellone, legato della sede apostolica. Grazie a quella tregua, Manfredi III rientrò nelle grazie del re e  rinsaldò la sua amicizia col regnante. Ne divenne addirittura il braccio armato e l’accompagnò nel viaggio intrapreso dal re lungo la Sicilia per riconquistare terre e castelli usurpati dai baroni siciliani. Dopo avere rifiutato di incoronarlo a Palermo, lo accolse tra l’11 ed il 20 novembre del 1374, proprio nel castello di Mussomeli, i cui lavori di costruzione   avvennero in concomitanza con quelli di completamento di Palazzo Steri, la storica residenza dei Chiaramonte a Palermo.

Conoscendo le condizioni climatiche di Mussomeli e il suo territorio, possiamo immaginare che fosse una tipica giornata autunnale, nuvolosa e fredda, con la tramontana che scuoteva cose e uomini e faceva sventolare stendardi e vessilli issati sul maniero, mentre tutt’attorno si abbacchiavano le olive e si dissodava la ferace terra del Vallone per preparare gli immensi feudi alla semina.  Il castello si presentò ai visitatori come un titano di pietra animato da insegne e gonfaloni gonfi di vento, rullarono i tamburi e squillarono le trombe. Il re era arrivato. Quanto si prolungò la sosta al castello di Mussomeli  del re e della sua corte non è dato sapere. I regnanti alloggiarono nelle sale nobiliari riscaldate dal grandioso camino che tutt’ora si può ammirare, gli armigeri sostarono nella parte più bassa del castello, a protezione del re e della regina e della principessa Maria, dodici anni, figlia di primo letto di re Federico (la stessa che cinque anni dopo, diciassettenne, sarà rapita e fatta sposare in Spagna). Della corte faceva parte il variegato popolo di dame ed ancelle, cuochi e cerusici, consiglieri e portatori, confessori, armigeri e indovini. Non mancava il Nunzio pontificio Giovanni Sartacin. Le donne, all’aurora e al crepuscolo, si raccoglievano nella cappella del castello per  rivolgere preci all’Altissimo.  Di quella visita rimane traccia nella regia lettera datata 16 novembre 1374 (XVI novembris apud terram manfridae). Si tratta di una lettera firmata dal re ed indirizzata al maestro Giovanni Vitali. Ed anche nel privilegio del 4 gennaio 1375 si parla d’una terra nominata Manfrida, ovvero un borgo abitato. In tale diploma, “Il re risolvette un questione sorta tra Manfredi di Chiaramonte ed Aldoino di Ventimiglia, circa il possesso della terra di Castronovo”.[1]

Di che questione si tratti è presto detto. Aldoino Ventimiglia e la moglie Marchisia Doria, figlia di Corrado e sorella dell’ultimo signore della famiglia, Antonello, reclamavano la restituzione del feudo di Castronovo, ch’era ritornato come abbiamo visto al Demanio e che il re aveva concesso a Manfredi. Ma anche in quell’occasione il re favorì Manfredi. La denominazione terra Manfridae del privilegio reale, è di per sé sintomatica. La futura Mussomeli voluta da Manfredi, cominciava insomma a mettere radici. Tuttavia, il Calà, seppure senza confutarla col supporto di documenti storici, crede poco all’avvenuta visita reale ed annota: “Pel fatto che nel paese non si è conservata alcuna tradizione neppure leggendaria di questo importantissimo avvenimento, io inclino a credere che il fatto non sia affatto accaduto a Mussomeli”.

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